Matematica, virus ed epidemiologia. Sembra quasi che fra questi tre ci sia un intruso, ma andiamo per ordine.

Molte cose sono cambiate negli ultimi mesi, la pandemia è riuscita nell’arduo compito di scuoterci dalla nostra routine. Una delle novità: i media hanno fatto entrare prepotentemente orde di virologi nella nostra quotidianità. Li sentiamo alla radio, li vediamo in televisione e leggiamo i loro libri. Sembra che siano ovunque e delle volte litigano anche tra di loro nei talkshow. Con buona pace del metodo scientifico.

Oggi però parleremo di epidemiologia. Qualcosa di strettamente imparentato alla virologia, eppure allo stesso tempo molto diverso.

La differenza è semplice quanto sostanziale. Mentre il virologo studia virus e batteri, li coltiva in ambienti controllati e ne sequenzia il DNA; l’epidemiologo non lavora direttamente con i microbi. Il lavoro di quest’ultimo, infatti, è studiare la diffusione dei patogeni, fare previsioni sulle modalità d’insorgenza, sull’andamento dei contagi e cercare di risalire alle origini del morbo. Queste informazioni non sono solo indispensabili alle autorità per porre delle misure idonee contro il dilagare di un virus molto contagioso, ma sono utili anche alla popolazione. Ma, in estrema sintesi, come vengono ottenuti questi risultati così preziosi?

In sostanza con la matematica. Attraverso complessi calcoli e formule l’epidemiologo riesce a comprendere come virus e batteri si rapportano nell’ambiente e in che maniera riescono a propagarsi. Non c’è da stupirsi, quindi, che un epidemiologo sia di norma un matematico o un fisico di professione.

La matematica è stata frequentemente utilizzata in passato per combattere le epidemie

In questa prospettiva la matematica è il detective, il virus è la preda, mentre l’epidemiologia è un’indagine più vecchia di un secolo.

Uno dei pionieri di questo metodo è stato John Snow. Un medico inglese che nel 1854 riuscì a individuare l’epicentro di una terribile ondata epidemica da colera in una pompa dell’acqua del distretto londinese di Soho (la tristemente nota “Pompa di Broad Street”).

Purtroppo le teorie di Snow non godettero di immediato credito presso la comunità scientifica . Anche per questo, a far nascere ufficialmente la scienza epidemiologica è stato Ronald Ross, mezzo secolo più tardi.

Sempre medico, sempre inglese, ma figlio di un grande generale dell’Esercito Britannico in India e nato nel distretto indiano dell’Uttarakhand.

Matematico per vocazione, Ross riuscì a coniugare i desideri del padre – che lo voleva medico – con le sue inclinazioni personali. Nel 1902 è arrivato addirittura a guadagnarsi un Premio Nobel, “per il suo lavoro sulla malaria con il quale ha dimostrato come questa penetri nell’organismo ed ha posto le basi per importanti ricerche su questa malattia e sui metodi per combatterla”.

Ronald Ross è stato un personaggio controverso, soprattutto per alcune esternazioni nei confronti di alcuni compagni accademici. Eppure i suoi studi sulla malaria e su come riesca a contagiare le sue vittime lo collocano come padre della matematica applicata alle epidemie. Il suo lavoro è stato fondamentale per comprendere la propagazione di virus (e batteri): nasce così l’epidemiologia.

Solo pochi anni più tardi l’eredità di Ronald Ross sarà raccolta da due scozzesi, Ogilvy Kermack e Anderson G. McKendrick. Questi, nel 1927, pubblicarono “A Contribution to the Mathematical Theory of Epidemics”, un articolo fondamentale per la moderna epidemiologia. In questo capolavoro della scienza del Novecento possiamo trovare il concetto – oggi arcinoto – di R0 e lo sviluppo delle famose equazioni Kermack-McKendrick: formule matematiche capaci di prevedere quali segmenti di una popolazione non si sarebbero ammalati durante un’epidemia.

FONTI E APPROFONDIMENTI:

• David Quammen, Spillover, Adelphi (2012);

• Per un approfondimento su Ronald Ross, qui.